
VELIA SACCHI
"Io non sto a guardare"
Vita, opere e memorie di una donna del XX secolo


Otello Sarzi
OTELLO E LE MARIONETTE
Questo lavoro delle sagome è nato con tanto slancio. Mi sembrava che finalmente un incontro speciale fra simili e complementari si fosse prodotto e mi sentivo piena di gioia al solo vedere Del Frà e la Mangili. che, nel mio studio abbozzavano la regia dell’Omaggio a Brecht, incentrato sul mio lavoro. E che belle notti e giorni sodi di lavoro si sono susseguiti. Sembrava che la data fissata fosse una scadenza imprescindibile ed io ero tornata nel pieno delle mie facoltà creative. Disegni, discussioni, realizzazioni faticosissime: segare centinaia di pezzi, assemblarli con lo snodo, dipingere a mo’ di cartellone, ricordarsi di Brecht e del grottesco-tragico, guardarsi dalla farsa e dal comico, evitare il “carino”. Una dopo l’altra le sagome si ammucchiavano nel mio studio, sagome singole, sagome multiple, scene di sfondo semoventi. Io mi domando se veramente non possa esserci in me un lato di assoluta stupidità. Non si spiega altrimenti perché il falegname mi rubi tremila lire sul legno che non mi manda, il contratto che ho firmato sia dei meno vantaggiosi, altre persone che per questo lavoro non fanno quasi nulla, ricevono il mio stesso compenso. Quando tutti questi infortuni si accumulano, non si tratta più di un caso, ma di volontà sotterranee e incoscienti, che producono questa specie di disgrazia. A me sembra che per poter uscire vittoriosa, avrei dovuto metterci molta attenzione, tanto tempo e tante energie, che il quel momento io non sapevo dove trovare. Ma è questo bisogno di buttarmi tutta in un lavoro, senza poter pensare ad altro, neppure a cose importantissime come questo contratto, che non è normale.
E neppure posso accettare l’idea che tutti siano lì pronti ad approfittare di ogni momento di debolezza o distrazione, come sembra che facciano, per farmi lavorare senza compenso.
Probabilmente c’è del vittimismo in me, forse l’antica questione di un’infanzia tormentata, ma non provo piacere ad essere maltrattata, solo ho una gran paura che possa servirmi da scusa.
Il “si gira” è stato rimandato “sine die” per un incidente automobilistico.
Otello mi ha aiutato a costruire i movimenti delle sagome. Caro Otello, l’ho rivisto dopo tanto tempo con un certo piacere. Scomparsa quella certa irritazione che mi prendeva tutte le volte che avevo a che fare con lui, determinata, credo, da quel suo modo di essere mezzo ingenuo, mezzo furbo, senza altra logica, se non quella di riuscire a continuare a vivere senza legami, senza casa, senza sicurezze, con molti, molti e superficiali amici. I tempi di via dei Coronari sono stati istruttivi e forse, nella mia irritazione di allora c’era molta paura. Quella di diventare anch’io così, per metà nel nulla di quella vita esteriore e senza impegni, e metà nel vero di una vita che di borghese aveva ben poco.
Quando vidi dalla strada il grande palazzo antico coi finestroni rotti, evidentemente vuoto, il mio cuore sembrò avvertirmi che lì il mio studio sarebbe stato bellissimo, con tanto spazio in largo e in alto, con tanta solitudine e silenzio.
Mi diedi da fare, vincendo la mia ritrosia e andai dall’amministratore dei principi Del Drago, ai quali il palazzo apparteneva. Gli esposi la nostra idea di farne un insieme di studi (pittura, scultura, marionette). In quattro avremmo potuto benissimo pagare l’affitto. Dapprima non voleva saperne, poi si convinse che era meglio affittarne una parte, piuttosto che lasciarlo andare in rovina.
Ci andò bene, perché l’affitto non era troppo alto, per otto stanze grandissime, due più piccole, una terrazza sulla vecchia Roma:40.000 lire, significava 10.000 a testa.
Nel mio studio, che era la stanza più ampia c’era anche un caminetto che mi riempiva di promesse. Il pavimento traballava e i muri erano scrostati, le scale larghe, ma buie e ammuffite(pare che dal 1600 non fosse mai stato fatto nessun lavoro di manutenzione), ma quello spazio e quel silenzio erano così affascinanti che non esitai a buttarmi nell’avventura della coabitazione.
Dopo qualche giorno Otello si installò nella casa col figlio Marco, sedicenne e la vecchia madre, occupando tre stanze e la cucina. Le altre stanze furono occupate da Oddo, un giovane internazionalista di spirito francescano, proveniente da una famiglia alto-borghese e Paolo, un giovane dinamico in urto con i genitori.
Ogni mese c’era qualche cambiamento. La mia quota scese a 7.000 lire, ma l’abbassamento del costo non compensava l’urlo continuo del grammofono nella sala accanto alla mia, dove Marco passava mattinate piene di goduria, dopo aver marinato la scuola, per la compagnia rumorosa, ma certo stimolante di giovanette e giovanetti pieni di energia e con il gusto del ballo e dei giochi, mediamente molto rumorosi.
Questi, che si susseguivano ininterrottamente come un fiume, sbagliavano regolarmente porta e si affacciavano da me:”C’è Marco?” Poi, quando mi sono fatta fare la chiave e chiudevo la porta, bussavano per chiedermi cose di ogni genere. Erano talmente belli, che io, qualche volta, più spesso del previsto, piantavo tutto, lasciavo la porta aperta e li guardavo invadere tranquillamente lo studio, mettersi davanti al caminetto parlare educatamente del più e del meno, ma ci facevano anche spaventare quando ci trovavamo improvvisamente tra i piedi, coppie discinte, armadi che si chiudevano rapidamente al nostro passaggio, stanzini bui che sussurravano, spintoni imprevisti di qualche ragazza, che nell’ebrezza usciva dal suo angoletto, chiamandoci con nomi dolci altrettanto imprevisti.
Otello, serafico, continuava a costruire i suoi burattini al centro, miracolosamente libero, di un grande stanzone stipato per tre quarti da burattini appesi per aria e ammucchiati a terra. Fasci di gomma piuma, usati indifferentemente per il suo lavoro e per gli amorosi riposi degli adolescenti affaticati. Sul suo labbro alloggiava spesso un sorriso di soddisfazione. Ho finalmente una casa, diceva, e che Casa! Guai ad accennare ad una possibile cacciata degli invasori. Otello si sentiva vivo in mezzo a loro e solo così riusciva a produrre. Infatti, nella piccola area riservata alla sua sedia, che campeggiava nel mezzo, si avvicendavano ogni giorno visitatori adulti, amici occasionali, vicini di casa, personaggi illustri della letteratura e del teatro, colleghi, parenti e molti senza tetto che speravano di allocarsi, e un cane e un gatto. Questa gente non era mai la stessa.
Ogni tanto, (in sei mesi due volte), Otello aveva l’impressione che Marco non studiasse, che consumasse troppa energia elettrica (arrivavano bollette inverosimili), e allora faceva straordinarie scenate. Di solito a tavola, sempre davanti ad un certo pubblico, si autoeccitava e, pieno d’ira, gridava lunghe storie di parenti vivi e morti, che non avevano studiato, o che studiavano tantissimo. Marco che era sempre lontano le mille miglia dall’aspettarselo, avendo avuto tutto il tempo di convincersi che il suo modo di impiegare la giornata era il migliore e ben accetto dal padre, dapprima si stupiva e lo guardava con grandi occhi innocenti e pieni di meraviglia, poi tentava qualche piccola interruzione che il padre utilizzava immediatamente per rinfocolare l’ira, e, infine, aspettava rassegnato la fine, sapendo che il giorno dopo sarebbe ripresa la solita benevola accettazione. La sera tornavo a casa, nella mia brutta casa in un quartiere impiegatizio e mi pareva che ci fosse tanto più silenzio, tanto più spazio, tanto più tempo. Poco dopo presi la decisione di venire via, ma mi dispiaceva e ogni tanto succedeva qualcosa che rinnovava la mia speranza di restare. Un giorno, per esempio, venne da me assieme ad una nostra cara amica, un certo Dante, accolto con molte feste e carezze, perché reduce da Portolongone, il carcere dove aveva trascorso 18 anni. Chiedeva ospitalità per qualche giorno, perché, essendo in libertà vigilata, gli era molto difficile trovare posto in una pensione, Doveva trovarsi un lavoro, stava cercando ecc….Tutti si mobilitarono immediatamente per lui che appariva il più bisognoso. Otello non volle sentir parlare di compenso per i pasti che consumava con lui. Riuscii a trovargli un posto in un’enoteca e la sua presenza divenne stabile, determinando una serie di cambiamenti. La polizia veniva spesso all’improvviso per vedere se il nostro Dante, (che doveva osservare il coprifuoco), era in casa nelle ore regolamentari.
Un genitore sospettoso della virtù della figlia, avvisato delle numerose assenze da scuola, e, saputo del luogo dove passava le mattinate, si presentò a Palazzo Del Drago a chiedere spiegazioni. Ci furono scambi vivaci di pareri pedagogici fra Otello e il genitore.
Sia Marco che Otello sembravano diventati più silenziosi e io ricominciavo ad organizzare il mio lavoro.
Dante si rivelò ordinato, minuzioso, con una sua scala i valori ben definita, tipicamente piccolo-borghese. Comprò immediatamente un grande mastello di plastica dove si lavava la mattina. Ed era uno spettacolo per tutti, che accorrevano nella grande cucina a vederlo, meravigliosamente immerso nella schiuma, che si strofinava con zelo sul petto e sotto le ascelle. Tutti erano ammirati e rispettosi di questo rito. La casa era gelida. L’unico rubinetto, quello della cucina. Tutto sommato, gli abitanti della casa trovavano più comodo non lavarsi per tutto l’inverno. Cominciò anche a precisarsi una certa regolarità temporale, prima inesistente. Dante usciva e rientrava ad orario fisso, doveva quindi mangiare ad una certa ora, si faceva lavare e stirare le camicie e la biancheria dalla mamma di Otello, faceva predicozzi a Marco sulla bellezza dello studio e della castità. Poi, affamato di donne anche a causa dei numerosi assalti omosessuali subiti in carcere, che avevano esasperato la sua tendenza etero, si buttava come poteva e sapeva su tutte le donne che vedeva, togliendo ogni plausibilità alle sue prediche. Riuscì però ad ottenere una riduzione dell’afflusso dei ragazzi.
Ma, più che altro, pareva che fosse calata sulla vita disordinata e rumorosa della casa un’ombra di preoccupazione.
Oddo mi disse che Otello, in crisi d’astinenza di persone attorno a lui, aveva preso l’abitudine di tornare a casa la notte con quaranta, cinquanta parsone raccolte in qualche trattoria. Le intratteneva con spettacoli di burattini, con canti e danze. I vicini, non potendo dormire si erano rivolti al padrone di casa, supplicandolo di liberarli da quelle rumorose presenze.
A questi eventi, si aggiunse poi la mia decisione di andarmene al più presto. Otello si sentì abbandonato.